https://www.radioradicale.it/scheda/468999/conferenza-stampa-donne-di-terra-e-di-orizzonti-agricoltura-fra-tradizione-e
Dice
un canto tradizionale lombardo: “La storia di queste montagne è
scritta su mani di donna che han lavorato la terra. E la terra si
porta nel cuore”
Io
porto nel cuore la mia terra e sono grata di possedere un sapere
umile delle mani che da lei discende; una conoscenza ereditata, che
va dal saper cucinare, alla cura degli esseri viventi, all’uso di
ago e filo. All’aggiustare ciò che si rompe, compresi i rapporti,
invece di buttarli via. Anche la cura delle relazioni è una sorta di
rammendo, o se volete, di faticoso impasto, come quello del pane, e
le donne contadine di un tempo ne erano le depositarie. Erano loro a
tenere in piedi le famiglie, erano loro a rattoppare i vuoti, gli
strappi di uomini lontani per lavoro, per guerre, per morti precoci.
Ricuciture dolorose che ho ben conosciuto nei racconti delle donne
della mia famiglia e che mi porto dentro, situazioni che ho poi
ritrovato in altre donne oggi in cammino per il mondo. Donne in
piedi, resilienti, dignitose.
Vengo
da un mondo dei campi in cui si sapeva che sporcarsi è necessario
per realizzare qualcosa, per ottenere un risultato. Accudire piante e
animali (ma anche un vecchio o un bambino) significa sporcarsi, ma
educa al senso della cura; è anche capire il valore della vita e del
cibo, e imparare a rispettarli. È comprendere tutta la fatica che
sta dietro a ciò che mangiamo. Poi, insegna a darsi dei limiti nel
consumo. Perché dallo sporco buono del lavoro si può passare a
quello pericoloso delle discariche e delle terre dei fuochi o delle
malattie per eccesso di cibo.
C’era
un rispetto, un tempo, nelle culture contadine, che metteva chiari
confini, nell’uso delle risorse: mai devastare, mai prendere tutto,
pensare al domani, ripiantare dove si tagliava, lasciare le giuste
matricine nel bosco. Lavorare insieme, cooperare (com’era nelle
latterie sociali del Parmigiano) era indispensabile: i nostri vecchi
non sarebbero mai sopravvissuti altrimenti. Questo portava coesione,
socialità all’interno dei paesi e delle famiglie, pur in mezzo
alle diatribe e ai litigi; aiutava a reggere il conflitto, a
dirimere le discordie, per il bene comune.
Vengo
da un mondo in cui davvero “si mangiava il territorio”: quasi
tutto ciò che finiva sulla tavola arrivava dai nostri campi e noi e
la terra eravamo fatti delle stesse sostanze. Un mondo scritto su
mani di donna che han lavorato la terra. In tutti i miei libri, anche
nell’ultimo dedicato a Matilde di Canossa, protagoniste sono le
donne e le loro lotte, le loro mani, il loro cuore connesso alla vita
e alla terra.
“Amo
la terra su cui sono, il mio corpo è fatto della sua sabbia”,
dicevano i Seminole. È utopia pensare di riconnettere vita umana e
natura in una agricoltura più rispettosa del creato? Forse, e
concludo, citando Galeano: “a questo serve l’utopia, a
camminare”:
Grazie
per questa bellissima giornata.
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