giovedì 12 aprile 2012

L'ASINO DI CAMILLO E ALTRE STORIE - RACCONTO



Il più fortunato di tutti noi era Camillo.
mio nonno, Carlo Albertini, con la sua mucca brunalpina 
Intanto, abitava a Casa Ferrari, che era un po’ come dire in un altro mondo, perché lì le ciliegie maturavano venti giorni prima e c’erano vigneti aggrappati ai declivi dove potevi andare a mangiare l’uva con il pane, mentre a Soraggio i grappoli erano ancora verdi; c’era, a due passi dalle case, la riva del Castello (inteso come monte), carica di leggende e di mistero.
Fortunato, Camillo, perché nel borgo c’era una casa con un bell’arco di pietra sovrastato da uno stemma nobiliare; Camillo diceva che le stanze all’interno erano affrescate, che anche lui veniva da quella famiglia nobile (e forse aveva ragione, visto che il paese si chiamava “Ferrari”, come lui), che, nascoste da qualche parte, dovevano esserci antiche armi e corazze.
Ma soprattutto era fortunato, Camillo, perché aveva un asino.
Nessuno di noi possedeva una cavalcatura, lui sì. Così, un bel giorno, lo vedemmo arrivare a scuola a cavallo dell’asino.
Fu un evento da teleromanzo, come una scena cavata da “Il mulino sul Po”, con Lazzaro Scacerni, Dosolina e il Raguseo, sceneggiato che vedevo da mia nonna in quella televisione/mobile di legno che alcuni suoi parenti le avevano portato da Milano.
Arrivò a scuola sull’asino, compiangendosi sommessamente e con gli occhi affranti, poverino, perché, ci raccontò, aveva messo un piede su un chiodo e gli avevano fatto l’antitetanica, così non poteva camminare.
Una puntura enorme, ci raccontò, grossa come mai se n’erano viste.
Drammatico e drammaturgo com’era, ci sconvolse – noi, poveri ingenui – con tutti i particolari di una sua eventuale morte per tetano e, per parecchio tempo, ebbi davanti l’immagine di Camillo che, pian piano, rimaneva paralizzato sul letto gridando di dolore finché, tra tremori incommensurabili, anche il suo cuore si spegneva.
A Casa Ferrari di asini (o asine?) ce n’erano almeno due: quello di Romeo, il padre di Camillo, e quello di Piero. E per forza: la strada era ancora quella medievale, con il fondo di grosse pietre, sì, ma ripida e stretta, talmente ripida, in alcuni punti, che già i birocci trainati dalle mucche avevano il loro da fare a risalirla.

domenica 8 aprile 2012

I FANTASMI DEL CAPITALE - ARUNDHATI ROY

di Arundhati Roy – 20 marzo 2012

Arundhati Roy
E’ un edificio o una casa? Un tempio della nuova India o un deposito dei suoi fantasmi? Sin da quando Antilla è arrivata ad Altamont Road a Mumbai, essudando mistero e una minaccia silenziosa, le cose non sono più state le stesse. “Eccoci qua,” ha detto l’amico che mi ha portata lì, “Presenta i tuoi ossequi al nuovo Sovrano”.
Antilla appartiene all’uomo più ricco dell’India, Mukesh Ambani. Avevo letto di questa abitazione, la più costosa mai costruita, ventisette piani, tre piattaforme di atterraggio per elicotteri, nove ascensori, giardini pensili, sale da ballo, stanze climatiche, palestre, sei piani di parcheggi, e seicento addetti. Niente mi aveva preparata al prato verticale, una torreggiante parete d’erba che cresce su una vasta griglia metallica. L’erba aveva chiazze secche; parti erano cadute in rettangoli precisi. Chiaramente la ‘ricaduta dall’alto’ non ha funzionato.
Ma di sicuro ha funzionato lo ‘zampillo verso l’alto’. E’ per questo che in una nazione di 1,2 miliardi di abitanti, i 100 più ricchi dell’India possiedono un patrimonio equivalente a un quarto del PIL.
Le voci che corrono tra il popolo (e nel New York Times) sono, o almeno sono state, che dopotutto quello sforzo e quel giardinaggio, gli Ambani non vivono ad Antilla. Nessuno lo sa per certo. Si continua a sussurrare di fantasmi e malasorte, Vaastu e Feng Shui. Forse è tutta colpa di Carlo Marx. (Tutte quelle bestemmie). Il capitalismo, diceva, “ha evocato mezzi di produzione e di scambio così giganteschi è come il mago che non è più in grado di controllare i poteri dei mondi inferi che egli ha richiamato con i suoi incantesimi.”
I India i 300 milioni tra noi che appartengono alla nuova classe media delle “riforme” post-FMI – il mercato – vivono fianco a fianco con spiriti del mondo infero, i poltergeist dei fiumi morti, delle sorgenti secche, delle montagne spoglie e delle foreste denudate; i fantasmi dei 250.000 agricoltori perseguitati dai debiti che si sono suicidati e gli 800 milioni che sono stati impoveriti ed espropriati per far spazio a noi. E che sopravvivono con meno di 20 rupie al giorno [circa 30 centesimi di euro – n.d.t.].

giovedì 5 aprile 2012

"DONNE A MEMORIA" - 8 marzo - Biblioteca Panizzi (RE) - Intervento di AGOSTINO GIOVANNINI e foto-gallery


8 Marzo.. una data importante a ricordare le conquiste economiche, politiche e sociali della donna, ma anche le discriminazioni e le violenze subite in passato e ancora oggi. Una data che riferisce anche, pur con divergenza di fonti (chi la data il 25 marzo), a quando in un incendio di una fabbrica NewYorchese morirono 129 donne, quasi tutte immigrate; rinchiuse a chiave nello stabilimento per timore di furti o pause troppo lunghe. Alcune avevano 12 anni e sostenevano turni di 14 ore al giorno!


E quali migliori libri, per celebrare la cruda realtà soprattutto femminile, se non quelli dell'amica Normanna Albertini? E proprio in quella reale crudezza che il pudore e l'omertà vuole relegata dietro le tende di casa, nei panni sporchi che si lavano in famiglia, ho trovato il centro e la passione per i suoi scritti:
verità nascoste in società, paesi e paeselli, dove tutti sanno, ma nessuno dice, perché non piace, non si addice al comune senso del decoro! Meglio teatrini ipocriti.. “La primavera è vita tenace, che rinasce e tracima e offende. Il profumo, nel vento violento d’aprile, è dei fiori, dell’erba, della terra bagnata. È pieno e sensuale, pungente e selvatico, insistente. La vita è vita e fluisce, scorre, importuna e dà scandalo. Non si può reggere all'insistenza del suo risorgere, quando allaga i campi, i boschi, le acque, i corpi. Fermarla, bisogna fermarla. O, perlomeno, si dovrebbe educarla.” (pg. 17 di Shemal) Così inizia Normanna..e così proseguirà in ogni sua composizione.

lunedì 2 aprile 2012

GRANDI BANCHE A CACCIA D'AFFARI - di Riccardo Barlaam


ECONOMIA IN BIANCO & NERO - marzo 2012


L’Africa, che quest’anno si prevede abbia una crescita economica media del 5,4%, è al centro dell’attenzione delle banche internazionali. In pista, J.P. Morgan, Crédit Suisse, Barclays, Industrial and Commercial Bank of China.
In Europa c’è la crisi del debito. L’euro traballa. Le economie dei paesi occidentali annaspano. E le grandi, fameliche, banche internazionali che cosa fanno? Si spostano a sud. Verso l’Africa. In cerca di business. Attratte dagli alti tassi di crescita del continente. Il fenomeno è di tutto rilievo e riguarda numerosi istituzioni finanziarie occidentali.
Due mesi fa, la J.P. Morgan, una delle più grandi banche mondiali, ha cominciato a offrire servizi finanziari in Sudafrica e si sta preparando a entrare, attraverso una banca locale, anche in Nigeria. La banca americana ha pure deciso di aprire filiali in Kenya e Ghana nei primi mesi dell’anno.
Sullo stesso passo anche un altro colosso del credito mondiale, il Crédit Suisse, che a gennaio dello scorso anno ha avviato un programma di espansione in Sudafrica, attraverso una joint venture con la sudafricana Standard Bank. Un accordo che sta consentendo alla banca svizzera di concentrarsi sulla creazione di una più ampia attività di investment banking al servizio del continente.
L’inglese Barclays ha spostato da poco il suo quartier generale della sezione che segue Africa e Oceano Indiano da Dubai a Johannesburg (Sudafrica). La Barclays Africa è presente in Botswana, Egitto, Ghana, Kenya, Maurizio, Seicelle, Tanzania, Uganda, Zambia e Zimbabwe. Ha più di 4 milioni di clienti e 22mila impiegati, tra diretti e nelle banche controllate, secondo le ultime statistiche aziendali. A capo di questo “esercito” di bancari è stata appena nominata una donna, Maria Ramos, che era l’amministratore delegato dell’Absa Group, la banca sussidiaria controllata dal gruppo londinese in Sudafrica. A lei, come ha detto poco dopo la nomina l’amministratore delegato della Barclays, Bob Diamond, il compito di far crescere ancora le attività nel continente.